lunedì 28 marzo 2011

Quando l’occidente si mette nei guai


La missione in Libia, legittimata dall’Onu e avvolta da Francia e Inghilterra in una coltre di illusionismo umanitario, è stata imposta dall’alto – come piace ai liberal – e con un orizzonte temporale “limitato”, ma si sta trasformando in una guerra di posizione senza obiettivi condivisi e senza concordia militare. C’è però un nucleo di altri volenterosi – Italia, Stati Uniti, Germania, Turchia e Russia – che a vario titolo stanno lavorando per una via d’uscita politica, ribaltando con la forza della diplomazia (e sotto l’ombrello di ferro della Nato) l’intemperanza militare anglo-francese. Ecco la genealogia e gli ultimi sviluppi del gran gioco libico.

Una settimana di anarchia. La Nato ha assunto giovedì il comando di alcune operazioni della campagna libica – la gestione della “no fly zone” e l’embargo marittimo alle armi – ma non ha finora potere sulla “no drive zone” (i bombardamenti contro i mezzi a terra e le truppe del colonnello Gheddafi), che resta nelle mani dei singoli partecipanti alla missione. Oggi il comitato militare della Nato presenta i piani per allargare il mandato alla “no drive zone” e domani il Consiglio atlantico dovrebbe assumerne il comando. Da lunedì quindi, come dichiarato anche dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, l’Alleanza atlantica guiderà la campagna libica, mettendo così fine a nove giorni di guerra fatta dai volenterosi senza alcun coordinamento. Nell’anarchia di una missione senza comando e senza obiettivi, la forza aerea di Gheddafi è stata quasi annientata, ma restano i mezzi a terra. La Francia ne ha già attaccati alcuni, ma il regime sta spostando i carri armati all’interno delle città dove combatte contro i ribelli, rendendo così complicato il bombardamento dall’alto.

Marciare divisi e colpire disuniti. Tom Ricks, informato commentatore di Foreign Policy, si è chiesto: Francia e America stanno combattendo la stessa guerra? Poi ha messo a confronto due dichiarazioni. Il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé: “La distruzione della capacità militare di Gheddafi è questione di giorni o settimane, certamente non di mesi”. Il segretario alla Difesa americano, Robert Gates: “Penso che nessuno s’illuda che questa operazione possa durare, una, due, tre settimane”. Commento di Ricks: “Questa faccenda diventerà presto interessante (la missione durerà tre mesi, dice la Nato, ndr). Gli americani vogliono andarsene in fretta e dicono che durerà a lungo. I francesi vogliono mandare avanti la missione, ma dicono che non è così”. Al momento, gli Stati Uniti non hanno neanche un aereo che, sotto il comando della Nato, si occupi di far rispettare la “no fly zone”. I francesi vogliono tenere fuori dal comando Nato l’indirizzo politico della missione: l’espressione non ha molto significato, se non quello di riservare un margine di manovra arbitrario a chi si sente il leader “morale” dell’operazione, cioè i francesi.

La soluzione diplomatica. Martedì a Londra si riunisce il gruppo di contatto – i volenterosi, la Nato, l’Unione africana e la Lega araba – per definire gli sviluppi della missione. Sarkozy ha annunciato che sta lavorando con Londra a una soluzione diplomatica, riconfermando la tendenza a considerare la guerra in Libia un affare personale e nazionale. Franco Frattini, ministro degli Esteri, ha posto un freno all’iperattivismo francese: “Anche noi abbiamo delle idee”. Tripoli ha aperto alla “road map” dell’Unione africana: cessate il fuoco immediato e dialogo tra le parti.

L’Oil for food libico.
La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha chiesto all’Europa l’embargo completo del petrolio. Molti paesi, compresa l’Italia, hanno chiesto e ottenuto un compromesso: andare all’Onu e attivare un meccanismo internazionale simile a quello applicato in Iraq per evitare che, nel lungo periodo, altre nazioni, come la Cina e l’India, approfittino dell’embargo europeo per ottenere contratti e commesse.

Fuoco amico sulla Nato. L’Unione europea ha mostrato ancora una volta di non avere unità né coordinamento e Cathrine Ashton, Alta rappresentante per la Politica estera, ha mostrato debolezza e inefficacia. Ma questa non è una novità. La Francia, noncurante delle posizioni di altri paesi come la Germania e l’Italia, ha fatto sì che anche l’Alleanza atlantica si devitalizzasse (non è una novità per la Francia, questa, ma il mondo non è a immagine e somiglianza di Parigi). Poiché Sarkozy voleva tempo per portare avanti i propri obiettivi, ha cercato in tutti i modi di relegare la Nato nel ruolo di sostegno logistico-militare, annullandone le prerogative politiche. Ancora ieri Sarkozy dichiarava: “Non sono le forze della Nato che andranno a proteggere i civili in Libia, sarà la coalizione dei volenterosi”. L’assenza dell’America, che non ha avuto il coraggio di dire di no a un’operazione in cui non ha mai creduto – Charles Krauthammer scrive sul Washington Post a proposito di Barack Obama: “Un uomo che inizia una guerra dalla quale vuole andarsene subito. Buon Dio. Se vai a conquistare Vienna, conquista Vienna. Se non sei preparato a farlo, è meglio che stai a casa e non fai niente” – ha fatto il resto.

Contenere il bullismo parigino. Non è un caso che il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, abbia commentato così il graduale passaggio di potere alla Nato: “Trovo positivo che la Francia cominci a essere ai margini, soprattutto in Libia”. Non è un caso che il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle, contrario all’operazione, abbia criticato così il bullismo di un Sarkozy, intenzionato ad applicare la formula libica anche agli altri dittatori della regione: “Penso sia una discussione molto pericolosa, con conseguenze difficili per la regione e il mondo arabo”.

(di Paola Peduzzi e Alessandro Giuli)

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