lunedì 18 luglio 2011

Attenti, cari politici furbetti: qua tira l'aria del 1992


Attenzione alla rabbia dei moderati. Dovrebbero considerarla molto seriamente i nostri cari (nel senso del loro costo) parlamentari e ministri. L’indignazione sta montando sempre di più nel Paese.

Evidentemente nei palazzi romani non se ne rendono conto, ma chi vive fra la gente comune ne ha un fortissimo sentore già da alcuni giorni, precisamente da quando si è precisata, nei suoi contorni pesantissimi, la manovra di correzione dei conti pubblici.

E’ un clima che ricorda moltissimo quello che si avvertiva nel 1992. Fu la rabbia del ceto medio che allora fece da detonatore facendo saltare per aria la classe politica della prima repubblica.

Oggi ciò che fa indignare non è il pur salatissimo costo – 80 miliardi di euro in quattro anni - della manovra economica. La necessità di farla, accollandosi dei sacrifici, è evidente a tutti e gli italiani non sono sciocchi irresponsabili. Sanno che bisogna tirare la cinghia e si sono sempre dimostrati pronti a farlo, sia pure con qualche mugugno, per salvare la “nave Italia”.

Quello che non riescono a digerire è l’atteggiamento della classe politica. A loro avviso mentre la cosiddetta “casta” impone pesanti sacrifici al paese, soprattutto i sacrifici più odiosi che vanno a gravare sui malati, sulle famiglie con figli, sui pensionati, sul terzo settore e l’istruzione non si mostra disposta a dare alcun segnale di partecipazione a questo sforzo nazionale e anzi sta attaccata con le unghie e con i denti a dei propri privilegi anacronistici.

Non che la gente dia ascolto al qualunquismo e allo sfascismo di certi demagoghi. Siamo un popolo realista e nessuno s’illude di ripianare il debito pubblico dimezzando le retribuzioni dei parlamentari. Così come nessuno pretende una classe politica fatta di virginali suore orsoline e asceti penitenti.

Tuttavia nessuno capisce perché mai dobbiamo avere i parlamentari più pagati d’Europa, oltretutto sapendo che hanno un carico di lavoro che li impegna solo qualche giorno la settimana, mentre evidenziano una preparazione media sotto la sufficienza.

Nessuno comprende perché debbano essere così tanti (i parlamentari) quando – considerate le altre democrazie – il loro numero potrebbe essere tranquillamente dimezzato, né si capisce come possano pretendere di usufruire di una sequela di immotivati e costosissimi benefici, a cominciare dalle pensioni facili (oltretutto non sono neanche stati scelti dagli elettori con le preferenze).

Così come nessuno comprende perché il presidente della provincia di Bolzano debba guadagnare più del presidente americano Barack Obama e un consigliere regionale italiano debba percepire più del governatore di New York (che è tra i più pagati degli Stati Uniti) o perché i nostri parlamentari europei siano tra i più remunerati del parlamento di Strasburgo o perché dobbiamo tenerci il costoso carrozzone delle province che servono solo ad ampliare il ceto politico degli amministratori che è già troppo vasto.

Se davvero siamo sul “Titanic” e rischiamo di fare la stessa fine – come dice il ministro Tremonti – tutti dovrebbero collaborare alla salvezza.

Dunque ragionevolezza, realismo e senso della decenza avrebbero dovuto consigliare un drastico taglio fatto dalla classe politica al proprio stesso costo. Sarebbe stato solo un segnale simbolico? Anzitutto quando i popoli passano brutti momenti e si chiede uno sforzo di coesione nazionale, anche i segnali simbolici di rigore e serietà sono importanti (come dimostra la storia). Inoltre sarebbe stata una dimostrazione di responsabilità, di intelligenza e di doverosa equità.

Invece non se ne parla nemmeno. L’idea di diminuzione dei parlamentari – sempre vagamente ventilata – resta nel libro dei sogni. La proposta di decurtare le loro retribuzioni o cancellare la loro incredibile previdenza viene accolta con pernacchie. Invece di fermare subito il continuo aumento dei costi di gestione di istituzioni come la Camera dei deputati rimandano tutto alle calende greche. Che è un modo per non farne nulla.

Sappiamo poi – lo ha raccontato benissimo su queste colonne Franco Bechis - come sono state bombardate a tappeto le proposte “rigoriste” di Tremonti, da quella – veramente minima – che proibiva i doppi incarichi (c’è chi cumula la carica di parlamentare con quella di sindaco o presidente di un’amministrazione provinciale) alla liberalizzazioni delle varie professioni, come quella degli avvocati. I quali avranno avuto anche delle ragioni, ma la reazione degli avvocati-parlamentari è apparsa a tutti odiosa.

Ad abolire le province del resto neanche ci provano… Le persone comuni hanno la sensazione di una casta – che è considerata (a torto o a ragione) di sfaccendati - che si mostra sempre prontissima nella difesa dei propri privilegi, mentre impone durissimi sacrifici a chi non può difendersi.

Anche sacrifici veramente ingiusti, lesivi dell’interesse nazionale, come il taglio delle (già esigue) detrazioni per i figli a carico, cosicché l’Italia, che ha già la maglia nera per le politiche familiari e ha il record della denatalità, correrà ancor più speditamente verso l’estinzione. Puniamo l’istituzione famiglia che ha il merito di averci fatto resistere alla crisi?

C’è persino qualche dettaglio che sembra sia stato pensato con la deliberata intenzione di accrescere l’indignazione “antipolitica”. Come l’aggravamento delle pene pecunarie previsto per chi attacca manifesti pubblicitari fuori dagli spazi e dalle regole, aggravamento delle pene da cui però sono stati esentati i manifesti politici (che poi sono la maggior parte dei manifesti abusivi).

Di questa situazione sono responsabili tutti, anzitutto forse di governo, ma anche di opposizione. Infatti la rabbia della gente – che capisce al volo come stanno le cose è generalizzata, verso tutti. Però oggi la si percepisce più fortemente proprio in quel corpaccione del ceto medio che perlopiù vota i partiti moderati.

Così il centrodestra potrà vantare il merito – di enorme importanza – di aver salvato i conti pubblici e il futuro del Paese, ma –come il pentapartito nel 1992 – sta seriamente compromettendo il rapporto di fiducia con la sua base sociale.

Nelle gravissime tempeste finanziarie del 1992-1993 fu il pentapartito che salvò il paese dal crollo, con misure drastiche come la manovra di Amato da 90 mila miliardi di lire e quella successiva di Ciampi, ma lo fece con delle modalità (penso al prelievo forzoso sui conti correnti e alla minimum tax) che suscitarono indignazione per l’iniquità (nel primo caso) o (nel secondo) interpretarono male la situazione sociale del Paese: vi fu infatti il crollo del consumi privati del 2,5 per cento (il dato peggiore dal dopoguerra), il crollo del pil dell’1,2 per cento, quello del 20 per cento degli investimenti in macchinari e attrezzature, chiusero centinaia di migliaia di partite Iva e si ebbero 611 mila posti di lavoro in meno.

Tutto questo accadeva proprio mentre emergeva il fenomeno del finanziamento illegale dei partiti (spesso la corruzione) e il perverso “effetto tangenti” sull’economia nazionale in quegli anni veniva quantificato in dimensioni colossali.

La frattura che si produsse con le rispettive basi sociali portò alla delegittimazione morale dei partiti che a quel punto poterono facilmente essere spazzati via dalle inchieste giudiziarie.

Sulle loro ceneri e in polemica con le degenerazioni del “ceto politicante” e con il peso della politica e dello Stato sulla società, nacque nel 1994 una nuova compagine di centrodestra, che da Berlusconi, alla Lega ai post-missini aveva un forte accento “antipolitico”, così come forti accenti “antipolitici” sono presenti nel centrosinistra.

Si sperava dunque che fosse questa classe dirigente a riformare il sistema e alleggerire il peso della politica. Ma non l’ha fatto. Potrebbe e dovrebbe farlo almeno oggi, per giustizia, nelle attuali ristrettezze finanziarie. Se non ora, quando?

(di Antonio Socci)

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