lunedì 17 ottobre 2011

Il Ciarra e Berlusconi


Un giorno scriveremo il perché di una sconfitta. Giuseppe Ciarrapico, classe 1934, senatore eletto nel Pdl è uno che la sa lunga. “Ha la forza dell’inerzia questo governo, e chi lo smuove?”. Nulla si muove, solo il bastone appoggiato sulla scrivania oscilla un poco dentro l’inamovibile palazzo dove si consuma il pomeriggio di semi-crisi della Repubblica. “La mia origine culturale non può dirsi innamorata della democrazia ma quello a cui assistiamo – e lo dico ai democratici perché è affare loro – è una parodia del parlamentarismo. Non posso dire di avere a che fare nel Pdl con dei Napoleoni ma cosa me ne faccio della lezioncina impartita, di tanto in tanto, dalla pur bravissima Anna Finocchiaro, collega del Pd? Siamo allo scherzo, poi, se penso che questo governo, all’opposizione, si ritrova Nichi Vendola, Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro…”.

Ci sarebbe anche Gianfranco Fini.

“Ma dove deve andare, quello, col suo uno per cento… e va bene, mettiamo pure lui accanto al terzetto ma non mi sembra che si arrivi a un totale significativo. Qui la minestra è una. Il consenso è obbligato per manifesto vuoto a sinistra o in qualunque luogo. Poco ci manca che richiamino in servizio le vecchie facce, che ne so?, uno Zaccaria per la Rai, oppure uno scarto della Prima Repubblica visto che la Seconda, la Terza, la Quarta ancora sono da fare…”.

Ma è finita per il governo, non c’è più il consenso se queste giornate, poi, così…

“Patetiche?”.

Il suggerimento, senatore, è suo.

“Siamo a metà tra la pochade e il dramma. Anzi, più nella pochade, siamo più nello sbraco della farsa che in una faccenda seria. Siamo nel pieno del ridicolo ma, malgrado tutto, il più serio di tutti resta Berlusconi”.

E lui, appunto, come sta?

“Trovi un modo più elegante per dire ‘a cazzo dritto’”.

Determinato?

“Ecco come sta, è determinato. E deve essere consapevole di un fatto. Lui ha ancora una grande capacità di fuoco, sostanziale e mediatica, io l’ho sentito e gliel’ho detto: vieni con me, giriamo, prendiamo pure qualche fischio ma vedrai quanti applausi fuori da Palazzo Grazioli. Lui se ne deve uscire da quel posto e da tutta quella mondezza che sta là, intorno a quella casa”.

Non deve stare con qualcuno in particolare?

“Quel Lavitola, per esempio: l’ho conosciuto quando è venuto a farsi la tac al Quisisana. Un bravo ragazzo, certo, ma io non gli affiderei neppure il parcheggio della clinica. Ma poi, a Berlusconi, non sono i Lavitola e tutto il caravanserraglio a fargli danno. Piuttosto sono letali quelli che tentano di trasformarlo in un politico qualunque. Quando alla Conciliazione ci fu quella specie di congresso del Pdl, Denis Verdini si alzò per chiedere ai delegati di aspettare per concludere, senta un po’… con gli adempimenti…”.

Niente adempimenti?

“Berlusconi è Berlusconi. Che adempimenti deve fare? E proprio adesso che è tutta una pochade lui non può fare come il sorcio, chiuso nella trappola. Deve, al contrario, mettere il muso fuori e attaccare per primo. Tutta una nazione sta ad aspettare con l’aria di dire: ‘Oddio! Se menano!’. E bisogna menare per primo. Vince sempre chi, nel dubbio, mena! O abbiamo dimenticato la storia di come finì Calimero?”.

Calimero?

“Sì, il negro che sfidava sul ring Nino Benvenuti. Il nostro vinse perché picchiò per primo. E così deve fare Berlusconi. Deve uscire, farsi vedere, e non farsi processare nelle piazze perché la grande aspirazione di Repubblica è proprio questa: celebrare in piazza questa classe dirigente e siccome questo governo ha saputo tenere testa ad una tempesta apocalittica qual è quella della crisi economica i miei amici del gruppo De Benedetti non avranno altro capo d’imputazione da addossare a Berlusconi che l’eccesso amatorio”.

Troppe donne?

“Roba da voyeur. Fanno solo questo ormai, i suoi nemici, lo guardano mentre se ne va a donne. Ma chi se ne frega! E’ la natura dell’individuo. Lui è sereno, è lieto, è ilare, ha solo bisogno di un filtro”.

Neppure Gianni Letta riesce a fargli da filtro.

“Gianni esercita, forse troppo, la funzione di premier surrogato. Gianni è un uomo eccezionale ma non si può stare in due quando si deve essere determinati. Io, per dire, quando ero ‘il Re delle acque minerali’ non facevo da comprimario a nessuno”.

Ma Letta è uomo assai discreto.

“Infatti, ci pensa Berlusconi a collocarlo sotto i riflettori. Ogni volta che lo prenota per il Quirinale lo arrostisce un poco, insomma, lo brucia perché – parliamoci chiaro – coi numeri attuali alla presidenza della Repubblica ci va Berlusconi. Quella è la sua meta”.

Ma il difficile è reggere, la vicenda con Tremonti, poi.

“Reggerà. Perché non c’è alternativa. Regge per inerzia. L’ho già detto. La questione con Giulio, invece, più che un equivoco è un mistero per me. Anch’io, tra due padri di famiglia, uno che scialacqua e uno rigido, preferisco quest’ultimo. Sarà quello che saprà trovare il pane per i propri figli. Ho grandissima stima di Tremonti ma i due, come posso dire?, psicologicamente non si capiscono. Giulio, infine, non è un traditore. E anche a voler considerare i dissidenti, i badogliani, quelli pronti ad andare via, insomma, non me ne do grande pena perché ho una certezza: non c’è un’alternativa a Berlusconi”.

Ordiscono, insomma, ma non ardiscono.

“Chi, dentro il Pdl, gli arditi? Ma quando mai. Siamo frutto di una realtà nata composita: ex fascisti, ex socialisti (che sono i più bravi), poi gli ex democristiani…”.

A proposito, la chiesa, alla fine che farà? Darà la sua coltellata a Berlusconi?

“La chiesa è sempre universale. Tarcisio Bertone è un camerata ma Angelo Bagnasco è un antifascista avvelenato. E poi, alla fine, il problema è sempre quello: hanno qualcuno in grado di sostituire Berlusconi? Ma anche il Santo Pontefice, mi chiedo, accetterebbe la sola idea di affidare l’Italia al terzetto Vendola, Bersani, Di Pietro?”.

Benedetto XVI magari non vede l’ora di buttarsi a sinistra. Abbiamo sempre bisogno di eroi, i nostri eroi per esempio.

“Io vado sempre a Predappio. Una volta riuscii a far venire con me quindicimila persone più la banda musicale. Ricordo che mi venne incontro il questore di Forlì per domandarmi perché ci fosse la banda al seguito. Per suonare, rispondo io. Suonare cosa? Giovinezza, cosa vuole che si suoni a Predappio. E lui mi fa cenno di no, Giovinezza non si può. Allora io faccio questo discorso: dottore caro, di quanti uomini disponete? Venti agenti, quattro carabinieri e dieci guardie municipali. Così mi risponde. E allora, io, gli faccio un rispettoso calcolo: ma anche se solo mi arrestate i maestri di musica come fate a impedire a quindicimila persone di cantarla questa ‘primavera di bellezza’? Ma non è nostalgismo, il fatto è che noi ci siamo”.

Quel che non si perdona al nostro tempo è di aver costruito l’alibi alla propria viltà diffamando gli eroi.

“Giusto. Ma andiamoci piano. Noi dobbiamo onorare gli eroi ma ricordiamo che il comandante Junio Valerio Borghese, oltre che ottimo lanciatore di siluri era anche un formidabile lanciatore di assegni a vuoto. Me lo ricordo bene, nel suo castello di Artena, con l’avvocato Dandini de Sylva che organizzava pranzi con undici primi piatti completi”.

Niente nostalgismo, ma sono bellissime le stampe del capitano Caccia Dominioni appese alla parete.

“Consapevolezza di aver fatto la storia, la modernità, ecco, tutto qua. Io vado spesso a Piana delle Orme, al museo della Bonifica. Ci porto la mia amica Concita De Gregorio e l’accompagno nelle sale dove ci sono le foto del Duce a torso nudo. Sono proprio innamorato di quel posto e però mi raccomando: un giorno scriveremo il perché della sconfitta. Resteremo – come mi disse Pietro Ingrao un giorno, strizzandomi l’occhio – immarcescibili”.

(di Pietrangelo Buttafuoco)

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