mercoledì 14 marzo 2012

Rivitalizzare la destra italiana


Dicono che la politica finalmente è tornata. Non ne sono tanto sicuro. Anzi, da quel che vedo e sento, mi sembra che piuttosto è tornato il lussureggiante casino di sempre nelle coalizioni e tra i partiti. Dalla convivenza forzata alla guerriglia abituale, insomma. Così si consuma una stagione arrivata al capolinea, mentre le aspettative (evidentemente malriposte) riguardo ad una possibile ristrutturazione del sistema politico naufragano miseramente nelle risse da osteria a cui quotidianamente assistiamo increduli.

Le idee latitano, le segreterie si arroccano, i professori menano il can per l’aia e al di fuori del recinto dello spread dimostrano i loro limiti confermandoci nella convinzione che politici non ci si improvvisa: vedi alla voce relazioni internazionali. Posto che il centrosinistra è diventato una sorta di landa dove si consumano vendette quotidiane e il Pd è in preda a una sindrome autodistruttiva, ci attendevamo che nel centrodestra, dopo la crisi di novembre, si tornasse a discutere di progetti e di programmi, impostando magari una campagna di primavera non all’insegna di inutili congressi ma di una salutare riflessione sul modello-partito e sulle nuove ragioni della politica a fronte delle squassanti convulsioni, non soltanto economico-finanziarie, che tengono il mondo in allarme. Niente. Neppure ciò che accade alle porte di casa nostra sembra ridestare dal torpore il partito di Berlusconi ed Alfano. A dire la verità, il segretario fa il possibile per cercare di guadagnare al Pdl un nuovo protagonismo, ma la compagnia non sembra disponibile a seguirlo.

Al logoramento, proprio in riferimento a quanto sta accadendo in Francia, potrebbero reagire fattivamente quegli esponenti politici pidiellini provenienti da Alleanza nazionale che se "leggessero", per come merita, la riconversione a destra di Nicolas Sarkozy troverebbero spunti interessanti per ritrovarsi ed intraprendere un cammino del quale beneficerebbe tutto il partito. Lo ha segnalato, con la consueta lucidità, Mario Sechi invitando gli ex-An a provare a ricostruire la destra che "non è riuscita a venir fuori con la leadership finiana, priva di caratura culturale per diventare un presentabile gollismo italiano". Ciò vuol dire rituffarsi nel passato, dare fiato alle trombe della nostalgia, attivare un reducismo sterile quanto comico? Neppure per sogno.

Realisticamente ciò che rimane della destra dovrebbe agire da lievito per far crescere culturalmente e politicamente un grumo di idee che mai come oggi risultano attualissime, tanto che se n’è accorto perfino l’inquilino dell’Eliseo minacciato dalle defezioni nel suo stesso partito e dall’abbandono dei moderati inclini ad appoggiare Marine Le Pen.

Temi come l’identità nazionale, la centralità geostrategica del Mediterraneo, la costruzione di un’Europa dei popoli e delle nazioni, il sovranismo, il recupero della cultura della tradizione quale fonte ispiratrice della modernizzazione sostenibile, la crescita e lo sviluppo "umanizzati" dalla salvaguardia dell’intangibilità dei diritti primari e naturali della persona, la funzione dello Stato come ente regolatore dei conflitti e promotore di una Big Society fondata sulla sussidiarietà costituiscono gli elementi di un patrimonio che la destra italiana non dovrebbe gettare al vento, ma rivitalizzarlo. Intorno ad esso, chi ne ha fatto parte, potrebbe ricominciare rilanciando innanzitutto la Grande Riforma, magari proponendo l’istituzione di un’Assemblea costituente, facendola finita con le solite conventicole di "piccoli saggi" destinate al fallimento, dalla quale venga fuori un nuovo sistema fondato sulla democrazia partecipativa e decidente.

Presidenzialismo e parlamentarismo, nel quadro di un bilanciamento di poteri chiaro e coerente con le esigenze che la crisi che stiamo vivendo ha evidenziato in maniera drammatica, potrebbero convivere come hanno sostenuto nel tempo inascoltati studiosi e politici, da Costamagna a Pacciardi, da Vinciguerra a Operti, da Calamandrei a Valiani, da Almirante a Craxi, da Miglio a Segni. Perché gettare tutto alle ortiche? Perché la destra italiana non dovrebbe rigenerarsi nel segno di un gollismo possibile? È tempo di risposte.

(di Gennaro Malgieri)

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