giovedì 12 aprile 2012

Tremonti: dalla crisi si esce limitando il potere della finanza


Giulio Tremonti non ha bisogno di presentazioni. Per anni è stato il ministro dell’economia dei governi Berlusconi ed è stato parte integrante del gotha politico europeo e mondiale. Con la caduta, lo scorso autunno, dell’esecutivo guidato dal Cavaliere, Tremonti è temporaneamente uscito di scena per dedicarsi alla scrittura di Uscita di sicurezza il suo ultimo libro, edito da Rizzoli e pubblicato all’inizio dell’anno, nel quale fa il punto sulla terribile crisi economico-finanziaria in corso. Uscita di sicurezza è un durissimo atto di accusa contro il potere finanziario definito senza giri di parole un “fascismo bianco”, una nuova forma di dittatura che mina alle fondamenta la democrazia occidentale. Con Giulio Tremonti abbiamo parlato del contenuto del libro e delle proposte da lui presentate per superare questo difficile momento storico.

In Uscita di sicurezza l’aspetto che probabilmente colpisce di più il lettore è la denuncia della nascita in Europa di un nuovo tipo di dittatura: il fascismo finanziario. Si tratta di una “provocazione” per risvegliare le coscienze dei lettori o crede davvero che la democrazia occidentale sia in pericolo?

“Fino a poco tempo fa il capitalismo era combinato con le ragioni dei popoli e con lo Stato sociale. Negli ultimi anni è però avvenuta una mutazione che ha causato una caduta degli antichi valori su cui per secoli si è basato il nostro mondo. Nel mio libro cerco di fare capire la pericolosità di questa mutazione e la necessità di tornare ai vecchi principi”.

Ha scritto anche che la “la finanza all’ultimo stadio” si è messa “a governare in presa diretta facendo uso dei tecnici”. Questo vale anche per il governo tecnico italiano?

“Nel mio libro non ho mai usato la parola Italia. Come riferimento ho sempre usato il caso della Grecia”.

Come giudica il modo in cui i “tecnici” stanno affrontando la crisi?

“Quello che sta succedendo in queste ore conferma che ancora non siamo nella via di uscita giusta per superare la crisi. Dal 2008 in poi per descriverla ho sempre usato una immagine, quella dei videogames. E’ come essere dentro un gioco, arriva un mostro lo batti, ti rilassi e arriva un secondo mostro più grande del primo. Prima il sistema bancario salta e per salvarlo si usano i fondi degli Stati. Poi il sistema finanziario, salvato dagli Stati, attacca senza pietà i bilanci pubblici e allora si usano i soldi delle banche centrali, in Europa della Bce. Ma, come gli ultimi eventi stanno dimostrando, la calma dura poco e il sistema torna ad essere pericoloso come era prima”.

Cosa fare quindi per interrompere questo “videogame” da incubo?

“In primo luogo bisogna uscire dall’attuale sistema ovvero bisogna ridurre il potere della finanza e impedire ai signori banchieri di usare i risparmi dei cittadini per speculare. Così come è ora se la scommessa va bene guadagnano loro se va male perdono i cittadini. In secondo luogo bisogna avviare un grande programma di opere pubbliche europee finanziato attraverso l’emissione di Eurobond. Questa visione assomiglia a quanto fece l’America dopo la grande crisi del 1929 con il varo del New Deal”.

Perché pensa che una visione simile sia fattibile?

“Perché man mano che la crisi esce dal solo ambito finanziario ed entra nella vita delle famiglie le persone e la politica si risvegliano. Questo per esempio è quello che successe in America all’inizio degli anni ’30 e che molto probabilmente succederà presto anche in Europa”.

Fino ad ora però, come lei stesso scrive, la politica è stata sconfitta dalla finanza. Perché questo è successo?

“L’ultimo grande atto della politica fu alla fine degli anni ‘90 con la globalizzazione. Questo processo per tempi e per metodi fu deciso dalla parte ‘illuminata’ della politica che pensava ad un mondo diverso basato sull’ideologia del mercato. Con la globalizzazione il mercato ha preso il sopravvento perché è stato più forte, più ricco, perché ha avuto una ideologia. Con la globalizzazione gli Stati contano sempre di meno, i politici eletti negli Stati ancora di meno e invece il mercato globale coi suoi poteri, mezzi e figure domina su tutto”.

Lei è stato parte integrante del gotha politico mondiale. Più di uno potrebbe chiedersi perché non ha provato a cambiare le cose.

“In realtà, come posso dimostrare in tanti documenti ufficiali, ci ho provato ma non ci sono riuscito”.

Perché non ci è riuscito?

“Sono fenomeni che hanno una dimensione storica. Neanche il presidente Obama, che pure aveva chiari i problemi da affrontare, ci è riuscito. Ripeto però che adesso è ancora presto ma prima o poi i popoli capiranno che vengono impoveriti e umiliati dalle politiche attuali e reagiranno votando per chi propone politiche diverse”.

Come abbiamo visto prima, per uscire dalla crisi lei propone un piano di investimenti in opere pubbliche. L’Europa preferisce però fare l’opposto e proseguire con l’austerity. Quale è il suo giudizio in merito?

“Faccio una premessa. Io sono abbastanza vecchio da ricordare il G7 e abbastanza giovane per aver visto il nuovo G20. La nascita di quest'ultimo riflette il cambiamento del mondo. Per l’Europa è finita l’età delle colonie e i vantaggi che questo potere comportava. Adesso contano tantissimo anche gli Stati che un tempo erano emergenti. Questo cambiamento fa sì che per l’Europa non sia più possibile che il deficit cresca più velocemente del prodotto interno lordo e rende necessario un maggiore controllo dei conti pubblici e quindi una revisione dello Stato sociale. Sottolineo però una revisione e non una eliminazione del Welfare State. Lo Stato sociale europeo è una cosa che dobbiamo conservare altrimenti si entra davvero nella barbarie che tanti grandi banchieri vogliono convinti che sia nel loro interesse. Perciò dobbiamo adattarlo perché è finita l’età delle colonie ma non possiamo distruggerlo”.

Torniamo un attimo alla ricetta per uscire dalla crisi: opere pubbliche. Perché sono così importanti?

“Nel XX secolo il motore della crescita è stata l’automobile. Era una cosa che sognavi di notte, che ti dava un modo diverso di esistere. E’ stata davvero un mito. L’auto ha portato tutto il resto: le strade, le autostrade, i viaggi, il turismo, ecc. La new economy o tante altre nuove scienze stanno dando moltissimo all’economia ma non sono l’equivalente dell’auto come mito di progresso e di successo. Per rilanciare davvero l’economia serve un rilancio delle grandi opere pubbliche come era nell’idea iniziale dell’Europa”.

Della green economy cosa pensa? Può essere un volano di sviluppo?

“Penso di sì. Penso che sia una cosa molto importante. Non abbiamo ancora tutti gli elementi definiti e condivisi ma certamente è un campo fondamentale su cui investire risorse pubbliche”.

(fonte: www.tiscali.it)

1 commento:

  1. Perfettamente condivisibile l'analisi dell'ex Ministro Tremonti, lasciato putroppo solo dai suoi ex della politica, ora intenti piuttosto a rifarsi la "facciata" in previsione di chiamate elettorali prossime.
    E' in atto una dittatura finanziaria o meglio una dittatura del potere finanziario che sta stravolgendo, imponendo le proprie regole agli altri poteri, politico, legislativo, giuridico prima di tutto, con il solo fine di avvantaggiare il potere economico dei pochi grandi, che prevedibilmente indurrà anche la modifica della attuale Forma di Stato. I primi strumenti attuativi, artatamente giustificati da una crisi economico-finanziaria autoindotta e sostenute dal mancato completamento dell'unione in tutti i suoi profili, sta in modo evidente determinando pseudo-riforme di carattere fiscale e non, volte a sbilanciare il carico tributario dalle grandi strutture verso i cittadini,(come succedeva nelle economie dei primi secoli del primo millennio) in assenza di una reale politica economica di supporto alla evidente crisi dello Stato Italiano ed a quella "invocata" del sistema Euro, per la quale non si vogliono riscrivere migliori regole di bilancio, di stabilità finanziaria, non ultima quella del sistema di intercredito statale (eurobond) che invece darebbero respiro alle crisi interne ed internazionali; ma evidentemente chi invece intende così sostenere la movimentazione dell'indice di spread, per indubbi vantaggi esclusivamente speculativi di breve periodo, va contro scelte di politica economica ad utilità collettiva. La storia, economica e non, dovrebbe essere meglio ricordata e per così dire, "temuta", anche dai "professori".

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