venerdì 10 agosto 2012

Riprendiamoci la sovranità: sarà più facile battere la crisi


È possibile in questo fran­gente sospendere per un momento le cifre e gli indici, e tirar fuori un’idea politica? È possibile riporta­re al centro del discorso pubblico un linguaggio sconosciuto ai tecni­ci e agli eurocrati? Lo riassumo in una parola chiave che è cultura e prassi politica: sovranità. 

Una paro­la che è affermazione di principio, ri­vendicazione di competenza e di re­sponsabilità, assegnazione di com­piti e azione conseguente. Non è un concetto astratto ma si esprime in vari ambiti reali dove si esercita il po­tere e il consenso, la vita e lo spazio pubblico. La sovranità non è solo il potere sugli uomini e sulle cose, è il riconoscimento, o l’invocazione, di un principio e di un atto che non si inscrive dentro il fluire ordinario delle cose, ma che lo sovrasta, s’in­nalza sopra l’accadere e dunque lo modifica. Sovrano non è chi segue la realtà ma chi la cambia, decide un altro corso. Il male principale della nostra epoca è la riduzione dei processi storici e umani a puro auto­matismo: ovvero non si può fare che in questo modo, la tecnica o i bi­lanci hanno delle esigenze indero­gabili, matematiche, da cui non si può prescindere e tantomeno mo­dificare. Sovrano è colui che libera l’uomo dall’automa e lo restituisce alla responsabilità di decidere. Ca­liamo queste considerazioni nel­l’emergenza dei nostri giorni e nel­la convinzione ineluttabile che non si possa fare altro rispetto agli impe­rativi della finanza e della tecnica. La sovranità in questa fase si ribella al fatalismo della tecnica e della fi­nanza, non sottosta al suo diktat ma si pone appunto sopra e restituisce facoltà di decidere non solo le azio­ni ma anche le norme su cui fonda­re l’autonomia. Applichiamo così la sovranità ai diversi ambiti. Sovranità politica rispetto all’eco­nomia e ai mercati perché la politi­ca resta, nonostante tutto, il luogo in cui si rappresentano e si tutelano gli interessi generali e i principi con­divisi, il luogo in cui l’identità di un popolo si fa volontà di destino. La tecnica espleta le procedure, alla politica tocca però decidere l’orien­tamento, la direzione, le priorità.

Sovranità nazionale per afferma­re l’importanza decisiva dell’unità, della sua tradizione e della sua di­gnità che non può essere umiliata e svenduta da poteri anonimi e sovra­nazionali, che rispondono solo ai propri obbiettivi privati. Anche nel­la prospettiva europea non si può saltare, per esempio col fiscal com­pact, il gradino della sovranità na­zionale. È possibile integrare nel contesto europeo le sovranità nai­zonale, non dis-integrarle. Sovrani­tà pop­olare perché non si può calpe­stare la volontà di un popolo espres­sa dalla sua maggioranza subordi­nando un paese alle oligarchie fi­nanziarie e tecnocratiche, burocra­tiche e giudiziarie, ideologiche e mediatiche. Nessuna deificazione della democrazia e delle maggio­ranze, conosciamo bene i suoi limi­ti e le sue storture, ma resta prima­rio l’ancoraggio al sentire comune. Sovranità monetaria perché un paese resta sovrano se dispone del­la sua moneta, se è in grado di gover­narla e non di esserne succube, se non è strozzato dagli imperativi fi­nanziari o dalle ingiunzioni delle agenzie di rating. La moneta dev’es­sere al servizio dei cittadini, e non il contrario. Sovranità linguistica, nel senso che in Italia la lingua sovrana resta l’italiano. Va incoraggiato il bilin­guismo, ammirati i poliglotti, va dif­fuso l’inglese, tutelati i dialetti, ma l’italiano va difeso e promosso per­ché è il segno vivente e parlante del­la nostra identità e insieme è una delle lingue più nobili e gloriose al mondo.

Infine sovranità statuale perché uno Stato non può fallire ed elemo­sinare aiuti dalle banche, la nostra economia reale è solida, le nostre ri­serve aure­e sono rilevanti e le fami­glie italiane dispongono di beni rea­li come le case. Non può lo Stato ab­dicare in favore dei mercati, delle banche o di poteri per definizione irresponsabili nel senso che non ri­spondono a nessuno.

La sovranità infine ha bisogno di simboli di continuità e di identifica­zione. Per rendere vivente e non so­lo vigente la tradizione di un popo­lo, sorse la monarchia che dà un no­me, un volto e una storia regale alla sovranità. Incarnando la sovranità in una persona e non in un potere impersonale, si umanizza il potere e si stabilisce il principio che la so­vranità debba essere esercitata e fi­nalizzata all’umano e non ad altri paradigmi tecnici, normativi o fi­nanziari. Nella storia, la monarchia si espresse nella duplice versione di assoluta o costituzionale; oggi nelle due versioni di ereditaria ed eletti­va, ovvero dinastica o presidenzia­le. L’investitura ereditaria viene temperatadalruolo, percuiilsovra­no regna ma non governa; la regali­tà elettiva, invece, è a tempo, ma vie­ne rafforzata dalla possibilità di esercitare la sua sovranità pur bilan­ciata e vigilata da altri poteri. La decisione sovrana spetta a chi rappresenta la costellazione delle sovranità prima indicate, e ne ha la piena responsabilità di cosa fa e di come lo fa. La crisi si fronteggia con la sovranità, che implica la parteci­pazione del popolo sovrano e la de­cisione di chi è stato eletto per gui­darlo. Rispetto a questa domanda di sovranità, il governo dei tecnici è estraneo e la politica presente è ina­deguata. Sono buone ragioni per nutrire sfiducia ma non sono ragio­ni­ sufficienti per rimuoverel’urgen­za di ripristinare la sovranità. La ri­fondazione della polis riparte dalla sovranità.

(di Marcello Veneziani)

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