giovedì 28 febbraio 2013

Alessandro Giuli: “Gli ex An, dal ‘tra-passo delle oche’ alla diserzione”


Nel 2007 c’era ancora Alleanza Nazionale. Gianfranco Fini, un giorno sì e l’altro anche, tuonava contro Berlusconi, minacciando di interrompere tutti i rapporti politici tra il suo partito e quello del Cavaliere. Italo Bocchino, durante un convegno dal titolo “Il tempo delle scelte”, giurava che dietro l’uscita di Storace da An, avvenuta a luglio di quell’anno, ci fosse “la manina di Silvio”. Tutti, o quasi, di fronte agli slanci volitivi del leader di Forza Italia- che parlava di nuovi partiti con cui annettere gli alleati- si stringevano intorno al giudizio di Fini sulla questione: Berlusconi “è alle comiche finali”.

Sempre nel 2007 usciva un libro scritto da Alessandro Giuli, all’epoca notista politico de “Il Foglio”, dal titolo “Il passo delle oche” (Einaudi). Si trattava di una radiografia critica della destra post-missina in cui emergeva con chiarezza il fatto che, nonostante l’ostilità ostentata, l’idea finiana di una navigazione tattica, unita a uno scarso peso dato all’elaborazione culturale, avrebbero condotto i rottamatori del Msi tra le braccia di Berlusconi, senza nemmeno garantire loro una duratura sopravvivenza interna al nuovo soggetto. Oggi, Giuli, è il vice-direttore del quotidiano di Ferrara e le previsioni che aveva affidato al suo libro si sono avverate tutte. Rimane solo da capire se sia rimasto ancora materiale utile per scriverne un seguito.

“Il passo delle oche” ha predetto il futuro o tutti i dati disponibili indicavano già cosa sarebbe successo?

Era già tutto chiaro, sia su Fini che sul suo partito. Non ho avuto doti di chiaroveggenza. Ho solo collegato elementi che erano abbastanza evidenti e che, già all’epoca, persone come Enzo Erra e Giorgio Pisanò, che avevano conosciuto di persona Fini e ne avevano seguito tutto il percorso politico, individuavano come avvisaglie di quello che sarebbe stato il decorso distruttivo del Movimento Sociale/Alleanza nazionale dal 1995 in poi. Loro magari non hanno beneficiato di una pubblicistica attenta, mentre il mio libro, edito da Einaudi, ha avuto un rilievo diverso.

La colpa del collasso politico di quel mondo legato ad Alleanza Nazionale è imputabile solo a Gianfranco Fini?

Non solo a lui. Ma Gianfranco Fini è comunque considerabile il più grande assassino seriale di partiti. Ha ucciso il Movimento Sociale, ha ucciso Alleanza Nazionale, ha ucciso il Pdl (perché nonostante quello che pensa Berlusconi, oramai il Pdl è esclusivamente una lista elettorale e personale) e, infine, ha ucciso Futuro e Libertà, che oggi è ridotta a una specie di larva politica. Tutto questo perché, da sempre, Fini ha utilizzato la forma partito come combustibile di una carriera votata al personale. Ovviamente la sua classe dirigente è stata completamente in linea con le sue aspettative. Gregaria, dal sostantivo latino grex che designa il gregge, è entrata, prima, in Alleanza Nazionale e poi nel Pdl, senza elaborare il frutto di una identità negata.

Il passaggio da Alleanza Nazionale al Pdl, quindi, sarebbe stato indolore?

Sì perché in An non c’era stata alcuna creazione di valori. Il passaggio dal Movimento Sociale al nuovo partito era stato soltanto un trasbordo dalle catacombe a un seminterrato più presentabile. Inoltre era già evidente che gli ex-missini sarebbero usciti con le ossa rotte dall’esperienza della fusione con Forza Italia, in quanto non avrebbero portato all’interno nessun contributo identitario preciso e, anzi, avrebbero infettato anche il Pdl con le loro beghe di corrente.

Eppure, all’epoca, si parlava di Forza Italia come di un “partito di plastica”, facilmente permeabile…

Esatto. Loro sono partiti con l’idea di egemonizzare culturalmente un partito permeabile a ogni innesto, proprio perché ritenuto di plastica, e in realtà si sono trovati in un mare magno di lotte intestine. Insieme a un partito, l’ex Forza Italia, che comunque conservava tradizioni non totalmente  neglette. Per esempio la corrente socialista o quella liberal/conservatrice. Paradossalmente An è entrata con l’intenzione di egemonizzare ma ha finito per fare la figura della truppa di lanzichenecchi.

Quindi un discrimine culturale tra le due formazioni non c’era?

An si è presentata all’appuntamento con le solite correnti. La destra berlusconiana di Gasparri e La Russa, che tendenze culturali non ne ha mai avute ma nemmeno vantate. Matteoli e Urso, che più che una corrente erano un esperimento di laboratorio creato da Fini per controbilanciare la spinta dell’altra corrente, quella sociale di Alemanno, che è la vera area drammaticamente sconfitta e da giudicare senza pietà. Loro sì che sono arrivati con delle pretese culturali, qualche libro letto e Pino Rauti sulle spalle. Sono loro che hanno avuto una implosione nei gangli del potere, dopo aver rinunciato consapevolmente a qualsiasi tipo di promozione culturale.

Ci sono stati tentativi recenti di unire, vista l’impossibilità di farlo con quelle politiche, le correnti culturali della destra identitaria. Può essere, questo, un percorso utile?

Mi pare pura retroguardia. Ne ho visti troppi di tentativi del genere. Dai Campi Hobbit in poi era tutto un “facciamola sinistra”, “facciamola destra”, “facciamola strana”. Il problema è che ogni iniziativa culturale onnicomprensiva, priva di una selezione vera e di una chiarificazione di intenti, è sempre fallita. Ed è fallita perché non puoi mettere l’abramitico Cardini con altri intellettuali più smaglianti e meno confezionati, non puoi mettere insieme l’intellettuale conservatore con i malati di avanguardismo futurista. Sono stati, questi, esperimenti utili negli anni 70 per farsi notare e per far vedere che c’erano delle singole intelligenze, oggi non esprimono altro che un reducismo senza prospettive.

Uno dei problemi della destra è, quindi, il tentativo di “far stare nella stessa stanza” Marinetti e Evola?

Sì, ma non credo ci sia bisogno di essere evoliani per pensare ai futuristi come a dei cretini fosforescenti. Basta Gabriele D’Annunzio.

Cosa ne pensa della novità rappresentata da Casa Pound?

Mi piace per quel tanto che riesce a  rievocare di Fiume e del Novecento più vitale, solare, gioioso e patriottico della Grande guerra. Non amo di Casa Pound gli orpelli avanguardisti e pseudo futuristi.

Oggi ci sarebbe materiale per scrivere un seguito de “Il passo delle oche?”

Ci sarebbe ma andrebbe esteso e il titolo dovrebbe essere “I disertori”. Individui che, come tutti sanno, finiscono fucilati dalla storia.

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