venerdì 26 aprile 2013

La 500 di Teodoro...


Ho fatto questo. Mi sono fatto prestare una 500. Non è però una di quelle nuove ma proprio una di quelle con le marce a doppietta e il tettuccio. Una, appunto, con la targa nera e le cifre bianche in rilievo. L’ho messa in moto e sono arrivato dalle parti di Villa Borghese. Non potendo entrare con la vettura ho cercato un albero che si sporgesse tanto da poterne prendere l’ombra e lì ho spento il motore. Tirando il freno a mano ho cercato di ribaltare il sedile. Ci sono riuscito e mi sono disteso. Con gli occhi chiusi ho svegliato nel ricordo la parola “Italia”, ma ripetuta tante volte. In quel sonno tutto forzato ho sentito l’odore della colla e, nelle dita – contratte – ho avvertito come dei tagli ricavati dalla carta: forse fogli ciclostilati, magari manifesti, perfino pagine di libri affilati come rasoi dell’Atto Puro.

Ancora con gli occhi chiusi ho sentito battere in petto l’allegria di una piazza “tricolore e festante” e poi ancora il frastuono di una vita tutta nuova dove tanta gente raccolta da ogni dove diventa d’improvviso importante: qualcuno è ministro, un altro è direttore di Rete, potenti di vario genere sono altri, quindi ci sono i villeggianti a Montecarlo, molti diventano ladri, tanti restarono onesti e tutti, tutti quelli di quel sonno fatto in macchina, dalla polvere di una sezione arrivano al Palazzo per poi essere restituiti al fine corsa di un nulla di fatto. Ho fatto questo, ieri, per salutare un amico. Fu il suo giaciglio la 500, la sua tana a Villa Borghese, e lui ci abitò lì – in una Cinquecento come questa da dove rialzo lo schienale – per fare sognare tutta quella gente. Tutti rimasti senza niente. Ed è l’alpha e l’omega di un destino politico, lui. E’ Teodoro Buontempo.

(di Pietrangelo Buttafuoco)

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