domenica 5 maggio 2013

La destra e le vittorie politiche degli ultimi anni: effimere perché prive di radici culturali


Con una certa regolarità dopo ogni sconfitta elettorale nel centrodestra si apre il dibattito sulla ”cultura”, sino ad oggi con risultati nulli. Sta accadendo ancora una volta su Il Giornale dove Paolo Guzzanti un ex di sinistra che ogni tanto si ricorda di esserlo (anni fa accusò Marcello Veneziani di essere un “fascista”) ha riaperto la questione lamentando che il centrodestra non abbia mai avuto una strategia a proposito di cultura, che non abbia messo uomini suoi a posti di responsabilità eccetera eccetera, facendo anche un singolare parallelo fra i liberal americani e i liberali italiani: cose invece diversissime fra loro perché quelli americani non sono altro che radical, spesso chic come li definì Tom Wolfe con termine entrato nell’uso comune (il suo saggio lo pubblicò Rusconi negli anni Settanta e nessuno se lo ricorda). Sono poi intervenuti personaggi di spicco del Pdl (Forza Italia) come Cicchitto e la Gelmini scoprendo l’acqua calda.

Quel che adesso si legge mi ricorda il convegno di San Martino al Cimino dopo la batosta alle elezioni politiche del 1996: in quella occasione i professori di Forza Italia (da Pera a Vertone) tennero una lezione di liberalismo ai poveracci che nel centrodestra dell’epoca liberali non erano. Bacchettate sulle mani e poi zero iniziative. Nel 2013 ci risiamo: quel che si è stato scritto sul Giornale da parte dei politici a partire dallo stesso Guzzanti sembra nascere all’improvviso e dimentica le cose scritte su quelle stesse pagine e su altre testate di centrodestra (da Area a Percorsi a Il Borghese) nel corso degli anni quando firme di centrodestra non liberale hanno scritto inascoltati che bisognava “ripartire dalla cultura” sempre negletta proprio come adesso si afferma pensando di dire una novità. Oggi si piange sul latte versato quando, durante i tre governi Berlusconi (1994, 2001, 2008) i ministeri chiave della Istruzione e dei Beni Culturali sono stati per lo più in mano ad esponenti di Forza Italia e durante i quali proprio nulla è stato fatto per scardinare l’egemonia della sinistra nei centri di potere culturale di questa nazione. Da un lato preferendo scegliere per posti di responsabilità tra una brava e competente personalità di centrodestra ed un none “famoso” di centrosinistra (se non proprio comunista) quest’ultimo; dall’altro non osando toccare lo status quo; dall’altro ancora non incoraggiando, aiutando, sponsorizzando (in forme legittime ovviamente) tutte quelle iniziatiche utili a dimostrare che una cultura non di sinistra esisteva e aveva da dire: riviste, case editrici, progetti di film e di serie televisione, convegni, fondazioni. E non che i mezzi per farlo non vi fossero!

Tutto questo non-fare, snobbare, ci ha ridotti al punto in cui siamo. Ricordo benissimo che nel 1994 si misero da parte nomi come Accame, Isotta, Buscaroli e altri perché considerati “troppo di destra”. Non si tratta di creare una nuova egemonia aborrita dai “liberali”, ma semplicemente di riequilibrare una situazione compromessa da decenni di stratificazioni e conformismi di sinistra. Non è stato fatto, né a livello nazionale né a livello locale, con rare eccezioni, come ho spesso rilevato su varie testate, nonostante l’evidente crisi di ideali e valori della Sinistra, che continua però ad avere sempre dalla sua parte il conformismo ideologico e la solidarietà politica. In più si aggiunga la crisi culturale del MSI divenuto AN nel 1995 con l’abiura di tutti i suoi punti di riferimento e la frittata è fatta.

I politica di centrodestra si accorgono a quanto pare soltanto ora di questa situazione, quando i buoi sono scappati dalle stalle. Si sono perduti vent’anni, il tempo di una generazione, durante i quali, come ho ricordato in altra occasione, i nati degli anni Novanta hanno solo letto e visto libri, giornali e film contro il centrodestra mascherati da antriberlusconisnmo/antifascismo.

I politici di centrodestra hanno anche trascurato importanti occasioni di chiarimento e di riflessione, come, ad esempio, aprire un vero dibattito dopo l’illuminante editoriale che scrisse Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 25 novembre 2012 dove si metteva il dito sulla piaga culturale. Il professore affermava che in Italia “nelle urne vince per solito la Destra (o il Centro […]) ma nella società civile quella che di gran lunga si fa sentire è la voce della Sinistra”. Questo consolidamento culturale e sociale della Sinistra fa sì che “la Destra, anche se elettoralmente fortissima, sembra esistere in un certo senso solo nelle urne, essendo in tal modo esposta al rischio di collassi politici e d’immagine improvvisi, capaci di portare in pratica alla sua dissoluzione”. Come sta in effetti avvenendo. Il Pdl secondo Galli della Loggia, “paga il prezzo” di essere un “partito artificiale” che, “inebriatosi del suo successo elettorale, non si è  mai curato di diventare qualcosa d’altro: qualcosa per l’appunto che avesse un retroterra di valori nella società italiana”. Cose dette mille volte da molti di noi di destra non liberale in passato. La conseguenza è che il PdL non ha voluto vedere i propri errori, li ha minimizzati, li ha nascosti sotto il tappeto, nonostante le sollecitazioni in contrario, affidandosi soltanto sull’indubbio carisma e capacità organizzativa di Berlusconi. Ma è stato troppo poco. Errori innumerevoli, ma uno è il principale: la sua presenza solo nelle istituzioni quando era al potere, ma la sua clamorosa assenza nella “società civile”. Una volta perduto il Potere si è trovati con nulla in mano perché, scrive l’editorialista, “altrove del tutto assente a dispetto di tanti suoi elettori in buona fede”. In soldoni, senza un solido retroterra culturale (idee in cui credere, una “visione del mondo”, autori di riferimento ecb.) vincere le elezioni non basta per incidere sulla realtà della nazione e degli italiani.

Questo, con parole assai più autorevoli delle mie, è il nodo di Gordio della questione che in vent’anni non si è riusciti a tagliare di netto e, preferendo affidarsi agli altri – i “grandi nomi” di sinistra – per paura di scegliere e di schierarsi in nome di un malinteso “liberalismo”.

(di Gianfranco de Turris - fonte: www.barbadillo.it)

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