giovedì 1 ottobre 2009

“L’altro”. Antifascismo tradito da Sansonetti & Co?

Il giornale si chiama L’Altro. Il direttore, Piero Sansonetti, dopo una stagione corsara e indipendente a Liberazione, ha inaugurato uno stile differente: non si fa solo il giornale della “parrocchietta” ma si prova a guardare cosa accade oltre i confini del proprio, rassicurante, orticello. Insistendo su questa linea, L’Altro ha dato voce ai nemici storici della sinistra antagonista e militante: i fascisti, post o neo che siano. Un’intervista con Graziano Cecchini, il fasciofuturista della Fontana di Trevi, un’altra con Gianluca Iannone, il capo di Casapound, e poi un articolo di Miro Renzaglia, che è andato a toccare il nervo scoperto della memoria, da condividere o no? Ne è scaturita una levata di scudi di cui si sono fatti interpreti due redattori, Claudio Marotta e Luciano Ummarino, che in una lettera (pubblicata domenica sul quotidiano) hanno sconfessato l’operato della direzione: «Questo giornale - è stata la loro sentenza - è troppo nero». I due sono entrati in sciopero perché «L’Altro è un giornale che strizza l’occhio ai fascisti del nuovo millennio». Possibile? Basta qualche intervista per mettere in crisi un valore come l’antifascismo che certa sinistra giudica granitico e inconfutabile? Evidentemente basta. Ma il disagio dei due “ribelli” non si limita a sconfessare le firme “nere” ospitate dal quotidiano di Sansonetti. È un po’ tutta la linea eterodossa seguita dalla testata a risultare indigeribile per i due custodi dell’ortodossia: «”Daje giù” a Repubblica, al manifesto, al Corriere, all’Unità, a Liberazione, al Fatto, a Santoro, a Ballarò, al Pd, a SeL, ai cibi biologici, a Rifondazione e l’elenco potrebbe continuare. Una campagna continua contro tutto e tutti che dà la misura della supponenza con cui in cinque mesi abbiamo dato vita a un giornale provinciale e gossiparo…».

Sansonetti ha replicato spiegando che L’Altro è un giornale che non ha Noi come punto di riferimento: «L’altro è il nero, l’altro è il bianco, e soprattutto l’altro è anche il nemico del quale vogliamo sapere le ragioni e gli umori…». Della vicenda si parlerà stasera alle 21 durante un’assemblea dei redattori, ma dietro tutto questo grumo di incomprensioni si cela una questione spinosissima: in che modo la sinistra può ancora fare uso dell’antifascismo? Può ancora usarla come arma di scomunica, legittimando o delegittimando l’interlocutore a seconda della sua provenienza e della sua storia? Evidentemente, secondo il direttore de L’Altro, questo uso manicheo dell’antifascimo è destinato a scomparire. Infatti Sansonetti così conclude la sua lettera di risposta ai due dissidenti Marotta e Ummarino: «Se l’antifascismo è antiautoritarismo, credo che sia utile ancora, attualissimo. Se è solo un modo per chiamare la tradizione, e i nostri padri valorosi, a riempire un vuoto di valori e di idee, se cioè è solo ricordo, retorica, resistenzialità, ve lo dico francamente: credo che sia dannoso». Bando, dunque, alla sinistra nostalgica. Ma c’è da giurarci che il processo sarà lungo, e non indolore.

E proprio sulla nostalgia come humus vivificante di una politica “brutta” era incentrato l’intervento di Miro Renzaglia ospitato sabato scorso dall’Altro. Un articolo che era un invito a lasciar cadere tutte le pregiudiziali, a destra come a sinistra, per non essere più prigionieri di «gabbie comportamentali automaticamente pavloviane».

«Io sto con Nietzsche - scriveva Renzaglia - quando afferma: “La serenità, la buona coscienza, l’azione felice, la fiducia nel futuro - tutto ciò dipende, nei singoli come nel popolo (…) dal fatto che si sappia dimenticare al tempo giusto, tanto bene quanto si sa ricordare al tempo giusto…”. A me sembra che nei decenni appena scorsi abbiamo ricordato pure troppo, fino a fare delle nostre (rispettive e non condivisibili) memorie, un culto. Ne converrete: da qualsiasi punto di vista si voglia osservare questo culto, non è che i risultati siano stati particolarmente felici. Allora, rivolto la frittata chiedendo: e se, invece della memoria, provassimo a condividere l’oblio?».

Una strada certo tutta in salita non solo a sinistra ma anche a destra dove alberga sempre la tentazione del “complesso delle Termopili”, l’idea cioè di arroccarsi in difesa di un Ideale con la maiuscola assediato da nemici vecchi e nuovi ma comunque indispensabili per dare alla vita (politica) un senso che altrimento non avrebbe. È qualcosa che affligge non solo Sansonetti e la sua guida libertaria del giornale che ha fondato. Sul fronte del centrodestra ogni spiraglio di approfondimento, ogni tentativo di considerare superate le vecchie contrapposizioni ottocentesche, viene accolta (in buona o in malafede) come uno smottamento, un dirottamento, un “tradimento”. Lo stesso Gianfranco Fini non è stato accusato di travestirsi da “compagno”? La morale è che chi sceglie la via scomoda non del dialogo (perché anche il dialogo può tradursi in uno stanco rituale perpetuato in momenti di tregua al fine di portare avanti trattative sottobanco su pacchetti di nomine e privilegi) ma della metacognizione, cioè della coraggiosa riflessione sui propri strumenti cognitivi per capire quali di questi hanno ancora forza interpretativa e quali, invece, vanno archiviati perché inadatti alla comprensione della realtà, si mette in una condizione a rischio nella propria famiglia politica, si becca del presuntuoso, dell’arrivista, del traditore, del convertito, dell’apostata senza che mai si entri nel merito delle questioni poste.

Tuttavia, certi dibattiti appaiono ormai talmente urgenti che difficilmente la sinistra e la destra riusciranno a svicolare. Per la sinistra si tratta di approfondire appunto il senso dell’antifascismo come valore (e quando fioccano i distinguo, vuol dire che quel valore non è più così condiviso…), per la destra si tratta di riflettere sui limiti del populismo fatto di slogan e del bonapartismo nutrito di un culto della personalità a tratti macchiettistico.

Ma torniamo a L’Altro. La polemica in corso rimbalza anche sulla rete: la versione on line del giornale ospita vari commenti a riguardo. Per capire l’aria che tira, è illuminante il contributo di Zaczac, con il suo ritratto di quella che un tempo è stata la sinistra radicale: «Si tratta di un’area frammentata e sotto botta, dove vigono codici tribali e rancori personali, un magma di biografie frustrate, di burocrati senza scrivania, di intellettuali antichi come lo statuto albertino, di giovani pieni di testosterone e privi di idee. Un’umanità ferita e ringhiosetta che si aggira nei meandri periurbani del tempo che fu: case e casette del popolo, sezioni e sezioncine di partiti-atomo, indigeribili assemblee-fiume e chi più ne ha più ne metta. Mi auguro che l’Altro riesca a liberarsi prima o poi dal giogo di questi agonizzanti comitati di salute pubblica. In bocca al lupo». Non trascurabile il monito di Raffaele: «Che Casa Pound sia uno degli esperimenti politici più interessanti degli ultimi anni non ci sono dubbi. Se la sinistra non si libera della sindrome di Piazzale Loreto è destinata ad un’agonia nemmeno tanto lenta». Davvero non c’è molto da aggiungere.

(di Annalisa Terranova)

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