sabato 29 maggio 2010

«Mussolini diceva “noi”, Silvio solo “io”»

“Ricordati di osare sempre” diceva D'Annunzio. Silvio Berlusconi, al vertice Ocse di Parigi, se l'è ricordato. «Oso citarvi una frase - ha detto nella conferenza stampa - di colui che era ritenuto un grande dittatore». E poi: «Dicono che ho potere, non è vero, forse ce l'hanno i gerarchi. So che posso solo ordinare al mio cavallo di andare a destra o a sinistra». Su questa frase e sulle successive polemiche Il Riformista ha chiesto un parere al giornalista Pietrangelo Buttafuoco.
Berlusconi si paragona a Mussolini. Che ne pensa?
Era una semplice citazione: “Come dice il Manzoni”, “Come dice il Tommaseo”, una cosa così. Paragonarsi a Mussolini gli sarebbe costato una fucilazione, mai l'avrebbe fatto.
Eppure fa riferimento al potere e ai gerarchi, sembra mettersi sullo stesso livello simbolico.
In quella frase c'è una grande componente ludica. Il più forte termine di paragone di Berlusconi in Italia è senza dubbio Mussolini: quante volte abbiamo sentito dire «questo potrebbe essere un 25 luglio», «sarà un piazzale Loreto», «è la sera del gran consiglio». Il Cavaliere risponde con l’immediatezza del linguaggio, tirando fuori un riferimento ancora presente nella nostra memoria storica.
Non è la prima volta che Berlusconi scomoda il Duce. Nel 2006 disse «Mussolini aveva le camcie nere, io ho le veline». E nel 2003 affermò che il dittatore «non aveva mai ucciso nessuno».
Berlusconi è un radar del linguaggio, un sensore dell’opinione pubblica. È in grado di individuare sempre gli spunti per un messaggio veloce, in grado di colpire e raggiungere il destinatario. L’Italia ha sempre avuto dei miti: sui muri delle trattorie ci sono le fotografie di Totò e Padre Pio, due personaggi molto amati dal sentimento popolare, costruiti anch'essi su un linguaggio che cammina spedito, senza fronzoli, con il semplice buon senso. La politica si adatta.
Quindi Berlusconi cerca nel sentimento popolare un'ammirazione analoga?
Il suo è un fiuto sbrigativo, senza filtri logorroici o cerebrali. A far ridere sono gli allocchi e professoroni che commentano con il dito alzato le sue parole. Non vivono nel Paese reale, quindi possono permettersi noiose prolusioni. Leggendo i giornali che hanno commentato quella frase si trovano i soliti due o tre Soloni. Scontati.
Però succede sempre che in campagna elettorale ci sia qualcuno che inneggia al Duce quando il Cavaliere sale sul palco.
Stupidaggini. Berlusconi è diametralmente opposto all’uomo di Predappio. Anche nella comunicazione c’è una differenza: Mussolini, quando parla, scolpisce chiaro un concetto: il “noi”. Silvio ne ha un altro: l'“io”. Il primo è innamorato di un destino politico, la sua natura è quella di un socialista rivoluzionario che ha letto Nietzsche e a cui rimane l'imprinting del collegio dove gli servivano acqua e pane raffermo. L'altro, invece, è innamorato di sé stesso.
Chi sono invece i “gerarchi”?
Si riferiva ai poteri forti, non a persone della sua cerchia. Le banche hanno un potere superiore a quello politico, le manovre dell’alta finanza incidono su un governo più di un qualsiasi presidente di Regione o del sindaco di una metropoli.
Ma non più di Tremonti.
Non si riferiva a lui. E poi Berlusconi ha un grande vantaggio rispetto al ministro dell'Economia: il consenso. Ripeto, se si affronta una manovra economica le decisioni politiche contano meno di una riunione organizzata a Ginevra da quattro banchieri. Faceva riferimento a loro.

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