martedì 1 giugno 2010

Diciamo addio a Silvio?

Soltanto una volta mi sono sentito nemico di Silvio Berlusconi. Accadde verso la fine del 1989, quando il Cavaliere diede inizio alla guerra di Segrate per la conquista della Mondadori. Allora lavoravo a Repubblica, la preda più ambita di Silvio. E fino al 1991, quando la storia si concluse, il mio stato d’animo fu quello di un soldato che difende la patria dai barbari.

Con Gianni Rocca, rimasi al fianco di Eugenio Scalfari senza incertezze. Tenni anche un diario minuzioso che poi mi servì per scrivere un libro molto anti-Cav. Era L’intrigo che la Sperling & Kupfer di Tiziano Barbieri ebbe il coraggio di pubblicare nell’autunno del 1990. In quel tempo, i libri contro Berlusconi non erano una valanga come succede oggi. Il vertice del Gruppo Espresso Repubblica me ne fu grato? Allora sì, adesso non lo so.

Ho scritto questa premessa per arrivare al dunque del Bestiario di oggi. E il mio dunque ha due facce. La prima è che non sono un anti-Cav irriducibile. La campagna asfissiante contro di lui non la seguo più.

È priva di senso, soprattutto perché i suoi avversari non ci dicono mai chi vorrebbero al posto di Berlusconi. Tuttavia, e siamo alla seconda faccia, da tempo vado scrivendo che il nostro premier dovrebbe ritirarsi a vita privata. Ieri pensavo agli acciacchi dell’età. Ma adesso credo che debba farlo perché ha superato la sua linea di Peter.

Qualcuno si chiederà che cos’è la linea di Peter. È la curva che delimita la competenza di ciascuno di noi nel fare il proprio lavoro. Quando la superi, significa che non ce la fai più. Che la tua competenza è esaurita. E che faresti bene a smettere di affaticarti su problemi che non sei più in grado risolvere. Ho l’impressione che il Cavaliere si trovi proprio in questo frangente. E dunque stia vivendo la sua fase più pericolosa.

I segnali sono davvero tanti. Vogliamo ricordare i più recenti? Il suo calo di autorità è evidente. Non ha ancora sostituito il ministro Claudio Scajola, dimissionato già da un pezzo. Davanti all’assemblea della Confidustria ha ripetuto il gioco che gli piace tanto: chi vuole Emma Marcegaglia al posto di Scajola, alzi la mano! Ma quasi nessuno ha risposto. Il premier avrebbe dovuto sapere in anticipo che sarebbe finita così. Se non l’ha intuito, significa che non ha più il polso della situazione.

Il suo partito gli sta scappando di mano. I dirigenti che lui stesso ha scelto si sono messi a fargli la forca. All’interno del Pdl nascono fazioni sino a ieri impensabili. Gianfranco Fini ha attenuato un tantino le esternazioni guerrigliere, però non ha gettato le armi e prima poi andrà all’attacco. La Lega è diventato il partito più forte del centro-destra. Forse si dovrebbero avvertire i vignettisti che insistono nel disegnare Umberto Bossi come un cane portato al guinzaglio dal Cavaliere.

Ma adesso emerge il guaio più pesante per Silvio. Lui non è affatto un leader da tempo di guerra, mentre tutto ci suggerisce che non siamo più in tempo di pace. L’Italia è destinata a vivere in modo radicalmente diverso da come è vissuta nell’ultimo mezzo secolo. Diventeremo più poveri. Pure chi viene considerato un ricco, se è un contribuente fedele verrà bombardato di nuove tasse. Chi ha pochi soldi in tasca o in banca, ne avrà sempre di meno.

Dovremo scordarci molte comodità da paese opulento. Tutti dovremo tirare la cinghia, sia pure in modo differente. Ricordo una battuta dei primi anni Quaranta, quando ero ragazzino. Sentivo dire dagli adulti: a forza di tirare la cinghia siamo arrivati all’ultimo buco, il foro Mussolini. Tocco ferro nella speranza di non sentir parlare di foro Berlusconi.

Questo stato di cose non rappresenta l’ambiente giusto per il Cavaliere. Lui ha creato le condizioni del proprio successo sull’ottimismo, sulla vitalità economica, sulla rivoluzione liberale, su un paese fatto di individui e non di masse, sulla prevalenza del privato rispetto al pubblico, su uno Stato meno invadente e capace di riconoscere il lavoro di ogni singola persona. A cominciare da una riduzione forte della tassazione.

Molti elettori gli hanno dato credito e lo hanno seguito. Confesso che anch’io, sia pure senza votarlo, ho sperato che Silvio ce la facesse. Ma oggi questo sogno sta svanendo. E insieme al sogno svanisce il personaggio del Cavaliere. Mi ha colpito un intervento pubblicato sul Tempo diretto da Mario Sechi. È uscito giovedì 27 maggio e a scriverlo è stato Francesco Perfetti. L’autore è un eccellente storico liberale. E come tutti gli storici senza pregiudizi riesce non solo a leggere nel nostro passato, ma anche a dare un’occhiata al futuro.

Sapete in che modo iniziava l’articolo? “Adieu Berlusconi! Per quanti scongiuri il Presidente del Consiglio possa e voglia fare, proprio questa rischia di essere la conseguenza finale della manovra economica tutta leghista, riversata sulle spalle dei lavoratori dipendenti e dei ceti medi…”.

Ho imparato a non fare profezie. Dunque mi guardo bene dal dire se la manovra da tempo di guerra sarà la tomba politica del Cavaliere. Dal mio personale punto di vista, penso che il ministro Giulio Tremonti abbia visto giusto nel prevedere un’austerità generalizzata. E mi auguro che il suo schema rigoroso non venga smontato, come potrebbe accadere. Se resterà com’è oggi, Berlusconi vivrà ore difficili.

Sapete chi possono essere i suoi veri alleati? Il Partito democratico che minaccia sfracelli contro la manovra di Tremonti. E la Cgil, che non sapendo cos’altro fare, ha proclamato l’ennesimo, inutile sciopero generale.

(di Giampaolo Pansa)

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