domenica 18 settembre 2011

Il patriottismo traballante di una certa destra


Ho letto con doverosa attenzione i due articoli che Marcello Veneziani e Dino Cofrancesco hanno dedicato al concetto di Patria, e alla spregiudicatezza con cui la sinistra attuale vuole impadronirsene. Condivido al cento per cento, in proposito, le osservazioni di entrambi.

Ma più che i consensi mi pare meritino d’essere sottolineati, da parte mia, i dissensi o le perplessità. Ho avuto l’impressione - ma forse sbaglio - che Veneziani abbia di proposito insistito sull’esistenza d’una idea e d’un ideale di Patria al di là e al disopra di quell’entità che si chiama Stato italiano. La visuale di Veneziani antepone allo Stato la Nazione. Non è la Costituzione, scrive, che fa dell’Italia un Paese. «Non sono le leggi a fare l’Italia e gli italiani, ma è la vita, la cultura, la lingua e la storia di un popolo, e la percezione di sentirsi, pur nelle diversità, un popolo». E Cofrancesco in sostanza assente: «Prima dell’Unità non c’era il deserto dei tartari».

Tutto vero. Eppure si annida in quelle diagnosi assolutamente ragionevoli un pericolo: il pericolo cioè che ne sia sminuito il Risorgimento, ridotto a episodio di pochi anni in una vicenda millenaria, e che di conseguenza ne sia sminuita l’Unità. Che non è molto in auge, mi sembra, oggi come oggi. Non sono ottuso al punto di negare che l’Italia, sia quando era la sede d’un possente impero, sia quando era «la terra dei morti», abbia conosciuto splendori e miserie che avevano scarsa attinenza con il suo essere Stato. Ma il dramma dell’Italia attuale - uno dei drammi, se preferite - sta nella sua propensione a rinnegare il momento fondante dello Stato senza davvero volersi ancorare ai valori sociali e culturali da Veneziani evocati. Si può essere patrioti di una entità multiforme e frammentata? Si può essere patrioti senza credere davvero nella Patria?

Non vorrei essere frainteso. Veneziani e Cofrancesco hanno sostenuto tesi accettabili. Ma quando Veneziani celebra i meriti dell’Italia - o delle Italie? - preunitaria prescindendo dal suo essere o non essere Stato, secondo me ha ragione e torto nello stesso tempo. Quel passato merita grande rispetto. Ma di per sé non genera patriottismo. Gli Stati Uniti sono quasi privi nella loro storia - così breve in confronto a quella di noi europei - del substrato di pensiero e di fatti che forma l’identità italiana. Le loro tradizioni autentiche, i loro maestri spirituali, religiosi, artistici erano altrove - paradossalizzo un po’, ma lo faccio per essere chiaro - erano migliaia di chilometri lontano. Nonostante questo, o forse proprio per questo, i cittadini Usa sentono fortissimamente il legame con le loro leggi, con la loro Costituzione, con i padri fondatori non solo d’una collettività ma d’uno Stato. Nel Paese che ha, o sembra avere, radici più brevi o più tenui, il patriottismo è sentito con grande vigore, e gli internazionalismi hanno minore presa.

Il neopatriottismo di sinistra ha mandato in archivio slogan retorici come quello della Resistenza tradita (tutto è dichiarato tradito in Italia: per la sinistra la Resistenza, per i nazionalisti la vittoria nella Grande Guerra). Queste frustrazioni incubano raramente qualcosa di buono. Ma, per tornare alla Patria, devo dire che la vedo sì insidiata dagli usurpatori, dallo zelo improvviso di chi vuole difendere a spada tratta la Costituzione e i costituenti, un tempo vituperati. Ma la vedo egualmente o ancor più insidiata dall’affermarsi ed estendersi, all’interno dello schieramento «moderato», di due opposte e coincidenti pulsioni antiitaliane. La Patria è un fastidio per i leghisti militanti che cercano simboli e rituali in una Padania abbastanza fantasiosa, in prati magici, in ampolle purificatrici.

La Patria è egualmente un fastidio per i nostalgici dell’Italia prerisorgimentale, impegnati a tessere le lodi del Regno del Sud e ad esaltare, in opposizione al liberalismo, il Sillabo di Pio IX. La sinistra si distinse un tempo per un suo particolare patriottismo di carattere ideologico, amava l’Urss, amava Stalin buon padre dei popoli, non amava l’Italia. Adesso la negazione dell’Italia viene da due fronti, il negativismo antirisorgimentale imperversa sia nelle valli bergamasche sia nelle terre che furono dei Borboni. Il patriottismo non è morto, ma non è nemmeno in buona salute.

(di Mario Cervi)

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