lunedì 19 settembre 2011

Usa: l'Eni non apra la Libia ai russi


L’Eni ha recentemente annunciato un accordo con la Gazprom, in base al quale darà ai russi accesso ai campi di gas naturale in Africa del Nord, in cambio di un aumento dell’accesso dell’Eni ai giacimenti di gas in Russia. Commento: il gas naturale nordafricano viene spesso visto come un’opportunità per l’Italia e l’Europa di diversificare ed evitare la dipendenza dal gas russo. Dare alla Gazprom il controllo dei campi in Africa del Nord danneggia chiaramente gli sforzi di diversificazione energetica dell’Unione Europea».

Colpisce la franchezza con cui parla l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, in questo dispaccio classificato come «confidential», di cui «La Stampa» è entrata in possesso nel rispetto delle leggi federali. Il rapporto viene scritto nell’aprile del 2008 e spedito con procedura prioritaria direttamente al segretario di Stato, Condoleezza Rice. Per conoscenza, il documento raggiunge anche il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca e il dipartimento al Tesoro. In Italia Silvio Berlusconi ha appena vinto le elezioni e si appresta a formare il suo quarto governo, che entra in carica l’8 maggio. In vista del cambio di amministrazione, Via Veneto informa Washington su una delle questioni prioritarie per gli interessi nazionali americani: la politica energetica di Roma, che attraverso l’Eni intreccia gli affari conclusi in Russia con quelli tradizionalmente condotti in Africa settentrionale, a partire dalla Libia.

Temi che tornano di grande attualità in questi giorni, alla vigilia del vertice di domani all’Onu in cui si discuterà proprio della ricostruzione dell’ex colonia italiana, dopo la rivolta che ha scalzato Gheddafi da Tripoli. Solo venerdì scorso l’Eni ha confermato la decisione di cedere alla Gazprom la metà della sua quota del 33% nel giacimento petrolifero libico Elephant, procedendo quindi con la politica della porta aperta a Mosca che tre anni fa Washington contestava. Il rapporto dell’aprile 2008, infatti, si apre con parole molto chiare: «L’ambasciatore Spogli ha discusso della sicurezza energetica con un gruppo guidato da Giulio Tremonti, l’uomo che secondo le attese più diffuse è destinato a diventare il ministro dell’Economia di Silvio Berlusconi. L’ambasciatore ha parlato del pericolo dell’eccessivo affidamento alla Gazprom, e della necessità di diversificare le fonti energetiche dell’Europa.

Il gigante italiano (e parastatale) Eni non è stato menzionato esplicitamente nel discorso, ma sa che stavamo parlando di lui». Infatti la diplomazia del cane a sei zampe si mette subito in moto: «Alcuni rappresentanti dell’Eni ci hanno chiamato immediatamente, chiedendo la possibilità di “chiarire gli equivoci” relativi al loro rapporto con i russi. Un vice presidente della compagnia ha fatto un briefing con il nostro consigliere economico, di cui riportiamo a parte. Più tardi l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ha chiamato l’ambasciatore, chiedendo aiuto per organizzare degli incontri a Washington per il 5 e il 6 maggio. Scaroni era andato a Bruxelles il 16 aprile scorso come parte dello stesso tentativo di “chiarire gli equivoci”».

Spogli non sembra convinto degli argomenti usati dai responsabili della compagnia italiana, e spiega il perché al segretario di Stato Rice e agli altri interlocutori del governo americano, anticipando in sostanza le tesi che Scaroni porterà negli Usa: «Eni sosterrà che South Stream (il gasdotto progettato con la Gazprom per collegare la Russia all’Europa attraverso il Mar Nero ndr) non minaccia il Nabucco (il gasdotto sostenuto invece dagli americani e dall’Unione Europea, per portare le risorse del Mar Caspio e del Medio Oriente in Austria passando dalla Turchia, proprio allo scopo di diminuire la dipendenza da Mosca ndr)». Su questo punto centrale, l’ambasciatore si sente quasi preso in giro dagli italiani: «Abbiamo sottolineato all’Eni che lo stesso Putin sembra pensarla diversamente (guardare l’Eurasia Daily Monitor del 5 marzo 2008).

Inoltre l’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, ha dichiarato il 25 febbraio scorso che South Stream “elimina” la necessità del Nabucco». I russi, in sostanza, smentiscono la versione accomodante degli italiani, in questa sfida che pare un domino globale per il controllo delle fonti. Un gioco pericoloso e anche violento, come dimostrerà pochi mesi dopo, nell’agosto del 2008, la guerra esplosa proprio nella stessa regione tra Russia e Georgia. Quindi Spogli ribadisce il pensiero americano: «La nostra posizione riguardo l’impatto di South Stream sulla diversificazione energetica europea è stata spiegata con chiarezza dal vice assistente segretario di Stato Bryza, il 26 febbraio scorso: “Certamente non rafforza la diversificazione. South Stream rafforza la dipendenza da un solo fornitore”». A questo punto il rapporto di Spogli cambia soggetto, e tocca l’altro dente dolente della collaborazione dell’Eni con Gazprom: le risorse nordafricane.

Nel quadro dipinto dall’ambasciatore, queste risorse sarebbero fondamentali per alleggerire la dipendenza dell’Europa dalla Russia, perché offrirebbero un’alternativa strategica sulla quale Mosca non avrebbe alcun potere di interferire. Quindi critica la decisione dell’Eni di dare a Gazprom l’accesso al gas dell’Africa settentrionale, spiegando che danneggia l’obiettivo strategico della diversificazione. Il documento prosegue con una nota biografica dell’amministratore delegato dell’Eni, che sembra preparare Washington a una possibile sfida senza esclusione di colpi: «I funzionari che incontreranno Scaroni devono sapere che, secondo i media, nel 1992 lui si dichiarò colpevole di corruzione in relazione al progetto per una centrale elettrica a Brindisi.

Questa inchiesta faceva parte dell’enorme scandalo di Tangentopoli, che aveva abbattuto i partiti politici dell’Italia del dopoguerra. Scaroni era stato condannato a un anno e quattro mesi di prigione, ma non ne ha scontato alcuno. Altri rapporti sulla corruzione dell’Eni sono più recenti. La compagnia possiede il 25% del consorzio Tskj, che è sotto inchiesta della Sec per presunti pagamenti impropri a funzionari nigeriani. Inoltre, nel marzo 2008 le autorità britanniche e italiane hanno lanciato un’inchiesta per corruzione riguardo la vendita di un grande sistema di telefonia mobile in Italia. Funzionari della compagnia elettrica parastatale Enel avrebbero ricevuto tangenti dall’azienda egiziana che aveva potuto acquistare il sistema. Scaroni era amministratore delegato dell’Enel, all’epoca della vendita».

Spogli, però, non dà per chiusa la questione, e spera che siano possibili dei chiarimenti: «Sappiamo che Scaroni ha confermato un appuntamento con i sottosegretari Reuben Jeffrey e Levy, e possibili appuntamenti con il sottosegretario Fried e il vice consigliere per la sicurezza nazionale James Jeffrey. Noi raccomandiamo fortemente che questi appuntamenti siano confermati». Si tratta di persone chiave nell’amministrazione americana, che gestiscono proprio i rapporti con l’Europa e gli affari economici ed energetici, al dipartimento di Stato e alla Casa Bianca. I dispacci di Spogli non spiegano nel dettaglio come vanno gli incontri di Scaroni a Washington e quale tipo di chiarimento avvenga. All’Eni, però, dicono che sono questioni superate, grazie a una serie di contatti ai massimi livelli proseguiti nel tempo. Il nuovo inviato americano per i problemi energetici nell’Eurasia, Richard Morningstar, ha attenuato le critiche a South Stream, mentre l’ingresso di Gazprom in Libia per il momento riguarda il petrolio e non il gas.

Domani questi temi torneranno sul tavolo del vertice Friends of Libya all’Onu, dove circa ottanta delegazioni discuteranno il futuro del paese, e quindi anche l’accesso alle risorse naturali che devono generare la ricchezza di Tripoli.

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