Dunque non è assurdo immaginare che il premier possa trovarsi all’inizio di una crisi senza rimedio. Una di quelle tempeste improvvise che neppure la consumata abilità del Cavaliere riuscirebbe ad evitare. Tuttavia, se vedremo un bis di quanto accadde 68 anni fa, sia pure molto meno cruento, non avverrà per una congiura di palazzo, interna al suo partito e favorita da amici-nemici esterni. Se Berlusconi cadrà, sarà per colpa, o per merito, di un solo cospiratore: lui stesso.
Un primo segnale allarmante è venuto dalle elezioni comunali di Milano. Qui il centro-destra si è svegliato dal sogno della vittoria ininterrotta, per precipitare nell’incubo di una batosta imprevista. Può ancora sperare nel secondo turno. Ma se anche Letizia Moratti riuscisse a sconfiggere Giuliano Pisapia, i guai per il Cavaliere non potranno dirsi svaniti. A cominciare da quelli che lo riguardano come persona.
Berlusconi è un signore ormai anziano. Anzi è il più anziano tra i tanti capi di governo europei. Alla fine di settembre compirà 75 anni, che non sono pochi anche per uomo energico e di grande vitalità come è lui. Dal momento che io ho un anno in più, so quanto sia fastidioso il peso dell’età. La forza fisica diminuisce. La lucidità si appanna. C’è chi diventa apatico e chi litigioso, condizioni entrambe rischiose.
Se fai un passo falso, lo ritieni un momento di difficoltà dovuto al caso e transitorio. Se i passi falsi aumentano, credi sia colpa di un complotto montato per farti sbagliare. I tuoi errori ti sembrano secondari. Non vedi che l’ambiente attorno a te sta cambiando in peggio. Quando perdi una battaglia importante, attribuisci la sconfitta a qualcun altro, mai a te stesso.
Lo si è visto nel caso di Milano. Anche Berlusconi si sarà detto che a perdere il primo match è stata la signora Moratti. E che con un altro candidato sindaco il centro-destra avrebbe vinto. In realtà, a causare la sconfitta è stato il Cavaliere. Si è presentato agli elettori come un leader ringhiante e non come una calma forza tranquilla. Il suo rapporto con la Lega si è rivelato debole.
La campagna ha messo in luce un errore dopo l’altro. Il più grave? Quello di essere stata troppo rissosa e dai toni eccessivi, come gli ha rimproverato lo stesso Fedele Confalonieri, il suo gemello. Diretta a difendersi dall’assalto degli avversari (media e magistrati) e non a convincere gli elettori di centro-destra della validità dell’amministrazione morattiana. E più in generale dell’efficienza del governo. Infatti molti dei suoi supporter si sono astenuti dal voto.
Come sempre accade, la sconfitta ha fatto riaprire il libro delle tante occasioni mancate dal governo Berlusconi. Qui è inutile elencarle. È sufficiente rammentarsi della rivoluzione liberale sempre promessa dal Cavaliere. E confrontarla con gli scarsi risultati ottenuti in tanti anni di potere. Troppe pagine bianche, troppe battaglie mai ingaggiate.
Berlusconi ha visto afflosciarsi anche il proprio partito. Il Pdl non è quello di due anni fa. Ricorda sempre di più il gruppo avversario, il Pd e il corteo delle sinistre aggregate. Entrambi i blocchi sono frantumati. Di qua e di là stanno emergendo piccole oligarchie personali, e anche semplici clan d’interessi. Frattaglie che non riescono a trovare un accordo duraturo e non rispondono più al leader.
La maggioranza di governo non è soltanto minata da un margine ridotto. È diventata diversa e peggiore. L’uscita del nucleo finiano è soltanto una delle cause di uno sfacelo che minaccia di aggravarsi. I cosiddetti Responsabili sono una squadra di fantasmi. Nascono partiti assurdi, con appena uno o due parlamentari. Il rischio è di trovarsi con una razzumaglia di fazioni ingovernabili. Che ricorda da vicino il caos della Repubblica di Weimar, quella che regalò alla Germania l’avvento di Adolf Hitler. Purtroppo toccare ferro non basta. La Lega di Umberto Bossi, anch’essa in perdita secca di voti, soprattutto al Nord, è sempre più tentata di giocare da sola. Se finora non l’ha fatto è perché teme che il distacco da Berlusconi provocherebbe la caduta governo. Aprendo la strada a un ministero di emergenza o alle elezioni anticipate. Tuttavia l’insoddisfazione della base leghista è grande. E ha prodotto un’astensione mai vista. Dopo la sconfitta di Milano, Giuliano Ferrara, un opinion maker che conosce bene il Cavaliere e di certo non gli è ostile, ha scritto su “Panorama”: “Berlusconi non ha alternative davanti a sé: o riprende l’iniziativa politica o finisce nel bunker”. Ma il Cavaliere è in grado di fare la prima cosa e di evitare la seconda? Temo di no.
La sua immagine è ben più logorata di un tempo. L’ultima inchiesta della Procura milanese, fondata o meno che sia, un risultato l’ha già raggiunto. Agli occhi dello stesso elettorato di centro-destra, Berlusconi appare un personaggio troppo diverso dai cittadini senza potere che l’hanno sempre votato. Un ricco sfondato che spende e spande per arruolare ragazze da invitare ad Arcore. Pronto ad ospitarle in case di lusso (ricordate l’Olgettina?). E disposto a favorirle in tutti i modi, compreso un seggio da consigliere in un’assemblea regionale importante, la Lombardia.
Quello di centro-destra è un elettorato popolare. Dove sono tante le famiglie che campano con stipendi da poco, piene di figli che non trovano lavoro e non possono comprarsi una casa, con figlie cresciute non certo per fare le escort. Da loro la vita privata del premier è stata avvertita come un’offesa. Che andava punita con l’unica arma possibile: negargli il voto.
Dopo i ballottaggi, e comunque si concludano, quale futuro attende il premier? Ogni giorno di più, il Cavaliere appare un monarca non ancora spodestato, ma con un regno pieno di crepe che si allargano. In tanti ci domandiamo che cosa sarebbe il centro-destra senza Berlusconi. In realtà la domanda da fare è un’altra: che centro-destra può essere quello guidato da un uomo che si ostina a ritenersi indispensabile. E ripete di continuo: senza di me, l’Italia moderata finisce, dopo di me ci sono soltanto i comunisti con le bandiere rosse, le moschee e Zingaropoli.
Però il Cavaliere rifiuta qualsiasi cambio. Anche se gli eredi giusti esistono, a cominciare da Giulio Tremonti. Berlusconi non vuole sentirne parlare. Ma allora non resta che il bunker, l’ultima ridotta, la trincea della disperazione. Sono tutte vie di fuga suicide, come ci dimostra la storia. Nel bunker non si vive, si sopravvive. Soprattutto in una fase delle vicende mondiali dove tutto muta con la velocità della luce.
Mentre la Prima Repubblica stava agli sgoccioli, un politico di insuperabile cinismo, Giulio Andreotti, a proposito di un suo ennesimo governo disse: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Era diventato il motto di quell’epoca. Sappiamo tutti come è finita.
(di Giampaolo Pansa)